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Idrogeno, energia pulita

Domenico Coiante, un esperto degli Amici della Terra che ha lavorato a lungo nell’ENEA, spiega in questo articolo perché l’idrogeno rappresenta l’energia pulita del futuro e verso quali prospettive occorrerebbe fin d’ora orientare la ricerca e lo sviluppo per l’utilizzo di questa fonte.

L’anidride carbonica (CO2), la maggiore responsabile delle modifiche all’effetto serra naturale e dei conseguenti cambiamenti climatici, è il prodotto finale dell’uso dei combustibili fossili per produrre energia termica, meccanica ed elettrica. Il 50% delle emissioni di CO2 in atmosfera è prodotto dai trasporti. Per diminuire le emissioni, oltre a ridurre drasticamente l’uso dell’automobile, si può agire sull’efficienza dei veicoli o introducendo combustibili più puliti.

L’idrogeno non inquina e non si esaurisce

Esiste in natura un combustibile del tutto pulito ed esiste in grandissima quantità. E’ l’elemento in assoluto più abbondante nell’universo: l’idrogeno. Per le sue caratteristiche chimico fisiche come combustibile si veda la scheda allegata.
L’idrogeno è un gas incolore ed inodore, non velenoso, che brucia nell’aria secondo la semplice reazione: idrogeno più ossigeno uguale acqua e calore.

H2 + 1/2O2 = H2O + Calore

E’ importante notare che il prodotto di scarto della combustione è soltanto acqua pura. Quindi, se si alimentasse un motore a scoppio con idrogeno invece che con benzina o gasolio, non si avrebbe più alcuna emissione di anidride carbonica. A scanso di possibili fraintendimenti, si deve dire subito che questa soluzione è tecnicamente fattibile e che è stata sperimentata su prototipi da parte di alcune case automobilistiche, tra cui primeggia la tedesca Mercedes Benz, che attualmente sta sperimentando una soluzione alternativa ancora più evoluta, basata sulle celle a combustibile e motore elettrico in una serie di prototipi denominati Necar e Necarbus.

Il vantaggio dell’idrogeno rispetto agli idrocarburi consiste nel fatto che la combustione può avvenire in modo elettrochimico, cioè senza fiamma. Si fa gorgogliare il gas in una cella, contenente un’opportuna soluzione chimica, in cui sono immersi due elettrodi metallici. Ai capi degli elettrodi si genera una differenza di potenziale, che fa scorrere nel circuito esterno collegato agli elettrodi la corrente elettrica. Questo dispositivo si chiama "cella a combustibile". Esso permette la trasformazione diretta dell’energia chimica contenuta nell’idrogeno in energia elettrica, capace di alimentare un motore elettrico con cui far muovere l’automobile. E’ proprio questa soluzione quella a cui si è accennato e che attualmente è in avanzato stato di sperimentazione, sia in Germania a livello di autovetture, sia in Canada a livello di autobus per il trasporto nei centri urbani.

Come si produce

Per quanto riguarda l’approvvigionamento dell’idrogeno esistono due principali soluzioni. La prima, che è quella praticata oggi su larghissima scala, prevede la produzione del gas dai combustibili fossili attraverso successivi processi di raffinazione e di frazionamento delle molecole degli idrocarburi fino alla completa eliminazione del carbonio. Con questa linea oggi viene prodotta una grandissima quantità di idrogeno, tutta quella che viene consumata sul mercato della chimica dei fertilizzanti di sintesi e nella metallurgia dell’acciaio. Occorre dire subito che questa soluzione non è ambientalmente sostenibile, e pertanto è da evitare, perché essa dà luogo come prodotto di scarto alla emissione di grandi quantità di CO2, cosicché l’idrogeno da utilizzare a valle in modo pulito si porta con sé l’inquinamento prodotto a monte nel ciclo di lavorazione. Tuttavia, poiché la tecnologia di produzione dagli idrocarburi è attualmente matura e consolidata, le odierne timide iniziative di introdurre l’idrogeno nell’economia dell’energia si basano sull’ipotesi di inserirsi nel mercato attuale di questo gas, detenuto ancora quasi per intero dalle compagnie petrolifere. Per queste, pertanto, si avrebbe una riconversione di alcuni settori produttivi dagli idrocarburi all’idrogeno e il relativo spostamento della fornitura energetica agli utenti dalla benzina all’idrogeno (conservando ovviamente il profitto per le compagnie). Dal punto di vista ambientale, questa soluzione ha il "vantaggio" di evitare le emissioni di CO2 dei veicoli di una miriade di utenti sparsi sul territorio, concentrandole negli impianti petrolchimici. Il vantaggio consisterebbe nel fatto che la CO2 prodotta negli impianti potrebbe essere catturata con opportuni filtri, trasformata in forma liquida o solida e poi immagazzinata in giacimenti geologici, che ne dovrebbero impedire la reimmissione in atmosfera. Per il confinamento della CO2 vengono attualmente proposte alcune soluzioni, come il pompaggio nelle sacche sotterranee ormai esaurite di metano e nei fondali oceanici al di sotto dei 2000 m, dove la CO2 si manterrebbe allo stato liquido indefinitamente a causa dell’enorme pressione ivi esistente. Dal punto di vista tecnico queste proposte sono oggi realizzabili con qualche aggiustamento e sviluppo di tecnologie già esistenti. Questo è il senso di programmi di ricerca e sviluppo, come quelli portati avanti dal prof. Rubbia. Deve essere chiaro, però, che questo tipo di soluzione non risolverà né i problemi ambientali né quelli economici a causa dell’inevitabile esaurirsi delle riserve di combustibili fossili e del costo aggiuntivo del confinamento della CO2.

Come, invece, si dovrebbe produrre

La seconda soluzione, invece, permette la produzione dell’idrogeno in modo sostanzialmente pulito. Si tratta del collaudato e semplice processo di elettrolisi dell’acqua, che schematicamente è rappresentato dalla seguente reazione: acqua più energia elettrica uguale idrogeno più ossigeno.

H2O + Elettricità = H2 + 1/2O2

Si può notare subito che la reazione di elettrolisi risulta esattamente inversa a quella elettrochimica dell’idrogeno nelle celle a combustibile. Pertanto, l’intero processo di produzione e consumo è ambientalmente sostenibile purché sia disponibile una corrispondente quantità di energia elettrica pulita in grado di alimentare il processo di elettrolisi. E’ facile verificare che una tale quantità di elettricità può essere ottenuta, in modo pulitissimo, dalla luce del sole utilizzando gli impianti di conversione fotovoltaica, la cui tecnologia, già oggi, può essere considerata tecnicamente affidabile e adeguata. Infatti, mediante l’intervento dell’energia solare fotovoltaica, si produce l’idrogeno elettrolitico e l’ossigeno, che possono essere fatti ricombinare nelle celle a combustibile per produrre l’energia elettrica di cui abbiamo bisogno. Come prodotto finale di scarto si genera una quantità di acqua pura pressappoco uguale a quella di partenza, chiudendo in tal modo il ciclo senza emissioni inquinanti. Infine, è evidente che le grandi distese oceaniche altro non sono che enormi riserve di idrogeno: ogni kg di acqua pura contiene 111 g di idrogeno, che, una volta bruciato, potrebbe produrre 3.200 chilocalorie di energia termica. Pertanto dall’acqua, in linea di principio, sarebbe possibile estrarre tutto l’idrogeno necessario a soddisfare in modo pulito le esigenze energetiche dell’umanità.

Perché si può (e si deve) finanziare lo sviluppo di questa soluzione

Prima di tutto occorre dire che la soluzione apre un mercato energetico del tutto nuovo, ancora non in mano ai paesi produttori di petrolio, e le nuove tecnologie da impiegare non sono in possesso esclusivo delle compagnie petrolifere, ma possono essere adottate con relativa facilità anche in altri settori industriali (elettronico ed elettrochimico, ad esempio). Questo potrebbe aprire un nuovo campo di opportunità economiche concorrenziali, che romperebbe i vecchi equilibri e, in ultima analisi, potrebbe giovare molto all’utente.

In secondo luogo, poiché simili impianti potrebbero essere piccoli, diffusi e di facile gestione, ampie zone, come quelle del Sud Italia, avendo a disposizione grandi quantità di energia solare, potrebbero trovare grandi opportunità economiche nella produzione di idrogeno fotovoltaico e nella sua esportazione nei metanodotti già esistenti.

Come si è già detto, tutte le tecnologie necessarie alla soluzione proposta sono già separatamente collaudate. Si tratterebbe, pertanto, di effettuare la loro integrazione in un sistema, che veda, da un lato, l’entrata dell’energia solare e, dall’altro, l’uscita dell’idrogeno puro da impiegare, sia come combustibile pulito per il settore dei trasporti, sia come vettore energetico in grado di immagazzinare e convogliare l’energia solare in tutti gli altri impieghi.

E’ sul piano economico che ancora esistono difficoltà da superare. Infatti, l’efficienza di conversione fotovoltaica della luce solare si aggira oggi intorno al 10% a livello di intero impianto. Tale parametro, pur mostrando notevoli potenzialità di miglioramento attraverso gli sviluppi futuri della tecnologia e dei materiali, è oggi l’anello debole della catena dei costi di produzione dell’energia fotovoltaica. In pratica, la bassa efficienza di conversione fa si che per produrre una data quantità di energia occorra impegnare larghe superfici di pannelli fotovoltaici, con il conseguente aggravio dei costi d’impianto. Questo porta come conseguenza a un costo alto dell’energia elettrica prodotta, che finisce per penalizzare l’intero processo di produzione dell’idrogeno elettrolitico. Tuttavia, occorre considerare che quella fotovoltaica è una tecnologia ancora in evoluzione e che un adeguato investimento in ricerca consentirebbe di aumentare l’efficienza di produzione di energia. Inoltre, se venissero quantificati i costi ambientali che verrebbero evitati nell’intero ciclo di produzione e di consumo dei combustibili fossili, questo sistema potrebbe essere già oggi conveniente.


Articolo gentilmente concesso da www.amicidellaterra.it

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